Lettera all'imprenditore n°19 del

6 Giugno 2017

LE AGGREGAZIONI DI IMPRESA

Cosa sono le Aggregazioni?

Le aziende hanno molteplici strumenti da utilizzare per unire le loro forze. Generalmente con il termine “Aggregazioni d’Impresa” si fa riferimento ad accordi contrattuali e/o societari che possono essere instaurati tra più aziende e che permettono alle imprese di condividere attività, risorse, organizzazioni e risultati.

Per la precisione, la definizione economica per l’aggregazione di impresa è: “coesione ed unione volontaria tra aziende derivante da accordi per realizzare o trovare soluzioni ad un’attività complessa”.

Gli obiettivi comuni che perseguono le aziende che si aggregano sono:

  1. Limitare la concorrenza. Questo tipo di accordi è sempre sottoposto al vaglio delle autorità competenti alla sorveglianza dei mercati;
  2. Apportare dei miglioramenti alle attività messe in comune e aumentare l’efficienza attraverso economie di scala o di scopo;
  3. Rafforzare la posizione competitiva di ogni azienda; – Diminuire i costi di transazione fra le aziende costituenti il gruppo;
  4. Aumentare il proprio know-how attraverso un apprendimento interaziendale;
  5. Migliorare il proprio approccio istituzionale, potendo ad esempio partecipare a bandi, gare d’appalto o eventi altrimenti inaccessibili.

Quindi, aggregarsi significa avviare tra le imprese delle forme di collaborazione economica, volontaria o obbligatoria, che hanno origine per l’esercizio in comune della gestione, ovvero di vaste combinazioni di processi economici propri di questa, oppure al fine di condizionare in modo propulsivo le attività delle singole imprese.

Da un punto di vista giuridico si individuano:

Aggregati intra-aziendali, costituiti da una pluralità di combinazioni economiche aggregate in una stessa azienda. Un esempio tipico sono i vari spin-off che lavorano insieme, facendo sempre capo alla società madre.

Aggregati inter-aziendali, che coinvolgono società distinte e autonome.

Gli aspetti che caratterizzano le aggregazioni sono:

  1. Necessità di una più forte collaborazione tra le aziende: le imprese partecipanti al gruppo infatti devono essere disposte a mettere in comune del know-how per arrivare al raggiungimento degli obiettivi comuni;
  2. Le aggregazioni sono formate da una pluralità di soggetti che non perdono la propria autonomia giuridica con la nascita dell’entità di gruppo. L’unico caso in cui l’indipendenza non viene mantenuta è quello di una fusione economica;
  3. La tendenza a stabilire rapporti che durano nel tempo.

Esistono varie tipologie di aggregazione aziendale solitamente vengono classificate in tre macro-gruppi:

  • Basate su rapporti informali;
  • Basate su rapporti contrattuali;
  • Basate su rapporti patrimoniali.

Basate su rapporti informali

Rappresentano delle aggregazioni “di fatto”, sprovviste di strutture convenzionali e dotate di collegamenti di natura estremamente precaria:

Basate su rapporti patrimoniali

Tipologie di Aggregazione Aziendale

CONSORZI

I consorzi (art. 2602 e segg. c.c.) si concretizzano in contratti di collaborazione che conducono alla creazione di un’organizzazione comune che ha il compito di coordinare ed indirizzare l’attività dei singoli aderenti.

Il contratto può prevedere anche delle “obbligazioni negative” per le aziende aderenti, ma queste devono essere interpretate come un fatto “accessorio” (o conseguente) dell’accordo e non come l’elemento o lo scopo principale dello stesso.

La nostra normativa, in particolare, prevede la costituzione di tre tipologie di consorzi: i consorzi volontari, i consorzi maggioritari e i consorzi coattivi.

In funzione dell’attività svolta, si possono individuare consorzi orizzontali, verticali e misti.

I consorzi possono essere con attività interna e con attività esterna; per svolgere l’attività “esterna” le aziende facenti parte del consorzio possono costituire apposite società consortili nelle forme previste dalla legge (S.n.c., S.a.s., S.r.l., S.p.a., S.a.p.a. e società cooperative).

CARTELLI

Il “cartello” è un accordo che viene stipulato tra due o più aziende con lo scopo precipuo di limitare la concorrenza o indirizzarla secondo regole predefinite

Tale accordo di norma è di carattere contingentativo, nel senso che intende regolare le quantità prodotte, i prezzi praticati, i mercati da servire, ecc. sul presupposto che agendo su tali variabili le aziende interessate possono avere dei vantaggi di carattere economico.

L’obbligazione derivante dal cartello assume così carattere “negativo” nel senso che vuole imporre dei limiti quali non produrre oltre una certa quantità, non praticare prezzi superiori o inferiori ad una certa somma, non vendere in una determinata area, ecc.

I cartelli hanno trovato larga diffusione, soprattutto in passato, in Germania (Kartell): qui avevano addirittura il sostegno da parte dello Stato che vedeva in essi dei mezzi utili per limitare le conseguenze negative di una concorrenza esasperata, nonché per sostenere l’espansione economica delle aziende nazionali all’estero.

L’uso improprio o estremo dei cartelli, finisce per snaturare anche lo scopo che si vuole raggiungere: dalla limitazione della concorrenza si perviene così spesso alla sua totale eliminazione. Per questo motivo numerosi Paesi, fra cui anche il nostro, hanno progressivamente introdotto delle limitazioni alla formazione dei cartelli tramite specifiche legislazioni antitrust.

Con il passare del tempo, pertanto, le aziende hanno quindi preferito stipulare “cartelli non formalizzati” sulla falsariga dei gentlemen’s agreements.

ASSOCIAZIONI IN PARTECIPAZIONE

L’art. 2549 c.c. prevede che l’associante attribuisca all’associato una partecipazione agli utili della sua azienda o di uno o più affari in cambio di un determinato apporto, che può essere in denaro o in natura.

Mentre l’associante deve essere necessariamente un’azienda, l’associato può essere anche una persona fisica. Tuttavia, qualora sia rappresentato da un’altra combinazione produttiva si configura un’aggregazione aziendale su base contrattuale.

Le associazioni in partecipazione possono sorgere per i più svariati motivi: da ragioni speculative legate alla possibilità di realizzare uno o più affari in comune (per ridurre i costi di produzione o di approvvigionamento, per unire le proprie competenze sull’attività di ricerca e sviluppo, ecc.) fino a motivazioni economiche che giustificano integrazioni molto più penetranti e che si spingono a mettere in comune l’intera gestione e a creare così rapporti stabili e di lunga durata.

In quest’ultimo caso le aziende coinvolte, pur mantenendo la propria autonomia giuridica, pongono in essere una gestione unitaria creando un’aggregazione molto spinta, mentre le forme più semplici (che sono anche le più diffuse) che prevedono l’associazione per una o un certo numero di operazioni isolate, si caratterizzano per un vincolo estremamente debole e per una durata normalmente breve (legata all’operazione da porre in essere).

PATRIMONI DESTINATI AD UN UNICO AFFARE

L’art. 2549 c.c. prevede che l’associante attribuisca all’associato una partecipazione agli utili della sua azienda o di uno o più affari in cambio di un determinato apporto, che può essere in denaro o in natura

Mentre l’associante deve essere necessariamente un’azienda, l’associato può essere anche una persona fisica. Tuttavia, qualora sia rappresentato da un’altra combinazione produttiva si configura un’aggregazione aziendale su base contrattuale

Le associazioni in partecipazione possono sorgere per i più svariati motivi: da ragioni speculative legate alla possibilità di realizzare uno o più affari in comune (per ridurre i costi di produzione o di approvvigionamento, per unire le proprie competenze sull’attività di ricerca e sviluppo, ecc.) fino a motivazioni economiche che giustificano integrazioni molto più penetranti e che si spingono a mettere in comune l’intera gestione e a creare così rapporti stabili e di lunga durata.

In quest’ultimo caso le aziende coinvolte, pur mantenendo la propria autonomia giuridica, pongono in essere una gestione unitaria creando un’aggregazione molto spinta, mentre le forme più semplici (che sono anche le più diffuse) che prevedono l’associazione per una o un certo numero di operazioni isolate, si caratterizzano per un vincolo estremamente debole e per una durata normalmente breve (legata all’operazione da porre in essere).

ASSOCIAZIONI TEMPORANEE DI IMPRESA (ATI)

Le associazioni temporanee di imprese (ATI), come afferma lo stesso termine, consistono in aggregazioni aziendali transitorie dal punto di vita temporale il cui fine è quello di cooperare per realizzare un progetto in comune.

Si tratta di una fattispecie molto simile al consorzio ma si distingue da questo per una serie di elementi. Oltre alla mancanza di una specifica regolamentazione giuridica – le previsioni legislative in merito solo infatti soltanto “parziali” – si rileva pure l’assenza dell’organizzazione e della “responsabilizzazione” comune sul progetto, che nel consorzio è dimostrata dalla presenza di un ente consortile, spesso addirittura con rilevanza esterna.

Infatti, le aziende associate mantengono la propria indipendenza giuridica ed economica e sono direttamente responsabili, ciascuna per la parte di propria competenza, del progetto che sono tenute a realizzare. Ciò anche se ad un’azienda in particolare può essere assegnato il compito, verso i terzi, di rappresentare tutte le altre (azienda “capofila”).

Inoltre, mentre il consorzio normalmente coinvolge una serie di operazioni se non addirittura tutta l’attività delle aziende consorziate, l’associazione temporanea è limitata ad uno specifico affare.

Il caso più ricorrente che conduce alla costituzione di una ATI è senz’altro la partecipazione alle gare di appalto. L’aggregazione consente così alle diverse aziende aderenti di raggiungere una massa critica (associazioni orizzontali) o una serie di competenze (associazioni verticali) tali da consentire all’aggregato la partecipazione a gare, appalti e di realizzare opere che le singole associate non sarebbero in grado di svolgere autonomamente.

JOINT VENURES

Le joint ventures sono forme di collaborazione che hanno avuto una notevole diffusione sia nei Paesi avanzati che in quelli in via di sviluppo.

Esse hanno avuto particolare fortuna soprattutto in ambito internazionale, in quanto consentono di attivare rapidamente nuove attività destinate ad inserirsi su più mercati, nonché superare ostacoli e vincoli che spesso limitano gli investimenti all’estero.

Le prime tracce di inquadramento normativo delle joint ventures sono rinvenibili nel Bubble Act britannico del 1720, ma la prima disciplina giuridica completa del fenomeno è senz’altro quella statunitense che sul finire dell’ottocento, anche in conseguenza del notevole sviluppo industriale e commerciale americano, ha sentito l’esigenza di fornire uno strumento per l’internazionalizzazione delle proprie aziende.

Esse possono essere distinte in due grandi tipologie a seconda delle rispettive modalità di costituzione: joint ventures contrattuali (contractual joint ventures) e joint ventures societarie (incorporated joint ventures).

Le iniziative più comuni per cui questa tipologia di aggregazione si presta sono la fabbricazione di un bene complesso (come una città, un’area organizzata, un grande palazzo, un grande impianto, ecc.) dove servono competenze distintive su svariati campi, la partecipazione ad uno specifico appalto, la realizzazione di un nuovo prodotto, la gestione di un evento importante (come una fiera, una manifestazione sportiva, ecc.).

UNIONI VOLONTARIE

Le unioni volontarie sono fenomeni di collaborazione tipici del settore commerciale e presentano anch’essi una qualche affinità con i consorzi.

Si tratta di una forma associativa che tende a sostenere la competitività dei piccoli e medi commercianti nei confronti della grande distribuzione al dettaglio. Esse sono molto consuete soprattutto nell’ambito del mercato dei prodotti alimentari.

Più precisamente, esse consistono in forme di integrazione verticale, regolate da uno statuto ed evidenziate da un marchio (e insegna) comune, fra uno o più grossisti e commercianti al dettaglio i quali, pur mantenendo una propria autonomia giuridica e patrimoniale, si accordano dal punto di vista operativo al fine di organizzare in comune gli acquisti.

Grazie a questa aggregazione, un grossista viene messo in grado di acquistare notevoli quantitativi di merce presso le aziende produttrici ottenendo prezzi scontati e può così rivendere quanto acquistato a prezzi favorevoli che, singolarmente, i piccoli negozianti non riuscirebbero ad ottenere.

Molto spesso il rapporto può spingersi oltre fino a ricomprendere alcuni servizi per lo sviluppo delle vendite (pubblicità e marketing), la soluzione dei problemi connessi ai finanziamenti, l’organizzazione dei punti vendita, il compimento di studi e ricerche di interesse collettivo, la creazione di ulteriori marchi commerciali comuni, ecc….

GRUPPI DI ACQUISTO

I gruppi di acquisto presentano notevoli affinità con le unioni volontarie, ma si differenziano da queste per una serie di caratteristiche peculiari.

Le affinità riguardano il settore di riferimento (quello distributivo) e il comparto (prevalentemente alimentare, ma esistono esempi anche nel settore delle calzature, dell’industria tessile, degli articoli casalinghi e degli elettrodomestici), nonché la finalità di porre in essere una forma di aggregazione volta a sostenere la competitività dei commercianti di dimensioni modeste e contrastare così il potere della grand distribuzione.

A differenza delle unioni volontarie, tuttavia, i gruppi di acquisto sono, di norma, aggregazioni orizzontali che vedono partecipare, quindi, solo soggetti appartenenti alla stessa categoria (i dettaglianti).

Nella loro forma ortodossa, infatti, i gruppi di acquisto mancano del grossista che, invece, caratterizza le unioni volontarie.

Negli ultimi tempi hanno preso campo anche i cosiddetti Gruppi di Acquisto Solidale (GAS), ovvero gruppi di acquisto che hanno un approccio critico rispetto al consumo e che vogliono applicare il principio di equità e solidarietà ai propri acquisti.

FRANCHISING

Il franchising (altresì noto come “affiliazione commerciale”) è un tipo di accordo contrattuale che ha trovato una veloce e ampia diffusione anche nel nostro Paese, benché fino al 2004 sia stato privo di una disciplina giuridica specifica il franchising oggi è un contratto mediante il quale il franchisor (altresì noto come “affiliante”) – che ha ideato un modello per la gestione di un particolare tipo di azienda – concede a dei franchisees (altresì noti come “affiliati”) il diritto di gestire quel tipo di azienda in una determinata area geografica, a patto che venga rispettato il modello prestabilito nel contratto e tutte le regole connesse.

Le singole aziende gestite dai franchisees sono indipendenti, sia giuridicamente che patrimonialmente, ma si impegnano a seguire le direttive loro imposte dal contratto. Questo, come si comprende, fa sì che si crei tra il franchisor ed i franchisees un rapporto aggregativo, peraltro molto stretto, di tipo contrattuale.

Il caso più ricorrente si manifesta nella creazione, da parte del franchisor, di una rete di distribuzione in esclusiva in cui ogni punto vendita presenta marchio e insegne comuni. Pur mantenendo la proprietà del punto vendita (assumendo la qualifica di imprenditore), infatti, ogni franchisee, accetta di vendere solo i prodotti o servizi del franchisor ed evidenziare marchio ed insegna di quest’ultimo. In alcuni casi ai franchisees vengono imposti anche ulteriori vincoli, relativi ad esempio al layout del punto vendita, fino ad arrivare addirittura all’abbigliamento che deve tenere il personale. In cambio di tutto ciò il franchisee è tenuto al pagamento di una quota fissa a titolo di “diritto d’entrata” (entry fee) per l’utilizzo della formula commerciale – che prevede anche la sua formazione, lo sfruttamento del know-how, la selezione dei collaboratori, ecc. – e di royalties (canoni periodici) in proporzione al volume d’affari e agli obiettivi perseguiti.

LICENSING

Il licensing (“licenza”) è un accordo contrattuale mediante il quale un’azienda, detta licenziante (licensor), trasferisce ad altre aziende – licenziatarie (licensees) – diritti di concessione o diritti d’uso di vario genere su un fattore immateriale di sua proprietà e tutelato dalla legge.

Più precisamente, mediante questo contratto il titolare di un diritto di godimento di un fattore immateriale – sia esso un marchio, un brevetto, un know how, un’opera dell’ingegno – lo cede ad un terzo per un periodo di tempo prefissato e contro il pagamento di un corrispettivo.

Tuttavia, non bisogna confondere il licensing con un contratto di “licenza” tradizionale. Rispetto a questo, infatti, il licensing è decisamente più complesso in quanto all’impegno da parte del titolare di trasferire il godimento di un fattore immateriale si aggiungono

specifici obblighi di assistenza tecnica, di formazione del personale, di marketing, di consulenza, ecc….

Il licensing si pone in un certo senso in concorrenza con il franchising. Nel licensing, tuttavia, a differenza di quanto avviene nel franchising tradizionale, il licenziatario non entra a far parte della catena di vendita del licenziante, ma appone il marchio di quest’ultimo sui suoi prodotti.

Pertanto, il licenziatario, non solo rimane a tutti gli effetti “indipendente” rispetto al licenziante, ma realizza direttamente – a differenza di quanto avviene nel franchising tradizionale, che è di tipo distributivo – i prodotti, contraddistinguendoli però con il marchio del licenziante.

RETI DI IMPRESE

Le “reti di imprese” in senso lato (non riferite espressamente alla tipologia “contrattuale”) costituiscono un fenomeno “trasversale” rispetto alle forme aggregative illustrate sino ad ora.

Ciò in quanto possono concretizzarsi sia in accordi informali, contrattuali e partecipativi di vario ordine e grado.

Una rete di imprese si configura ogni qualvolta degli operatori, formalmente indipendenti, pongono in essere relazioni di co-produzione mediante accordi che, appunto, possono essere di diverso tipo, e si basano sulla presenza di una struttura relazionale fondata su meccanismi di comunicazione e di coordinamento tra le diverse aziende della rete.

Tali relazioni possono essere strutturate con un’azienda leader e una serie di aziende “subordinate”, oppure con un insieme di aziende che si pongono sullo stesso piano instaurando così relazioni paritetiche.

Il network che ne deriva si caratterizza per un legame strategico e duraturo che consente di ottenere, per le singole unità aziendali, dei vantaggi variamente configurati rispetto ai concorrenti che si pongono all’esterno del network stesso.

Una rete può costituirsi ad esempio con un accordo informale di carattere produttivo, oppure mediante un contratto di collaborazione (anche con la presenza di rapporti partecipativi) ma a differenza di questi, presuppone una relazione e un’interazione che va ben oltre i termini specifici di tali accordi e, soprattutto, non risulta soggetta ad eccessive rigidità strutturali.

Nel 2009 (D.L. 10 febbraio 2009, n° 5, convertito in legge 9 aprile 2009, n° 33) è stato introdotto nel nostro ordinamento il contratto di rete di imprese.

Il contratto di rete per certi versi è simile alla fattispecie del distretto, ma, a differenza di questo, supera la logica della territorialità e può prevedere l’aggregazione di aziende anche molto distanti dal punto di vista geografico.

L’essenza del contratto di rete risiede nella relazione organizzata tra più imprese che si impegnano ad esercitare in comune una o più attività economiche che rientrano nei rispettivi oggetti sociali, al fine di accrescere la reciproca capacità innovativa e la competitività sul mercato.

Deve essere costituito un organo comune con il compito di seguire il programma di rete e di gestire lo svolgimento dell’attività interna ed esterna.

La realizzazione del programma di rete viene finanziata tramite uno specifico patrimonio di rete, attraverso la costituzione di un fondo patrimoniale comune oppure mediante il ricorso da parte di ciascuna azienda contraente al patrimonio destinato ad uno specifico affare ex art. 2447-bis c.c..

Il contratto di rete, pensato principalmente per rendere competitive le aziende di piccola e media dimensione, deve essere registrato e deve contenere numerose indicazioni richieste dalla legge.

GRUPPO EUROPEO DI INTERESSE ECONOMICO (GEIE)

Il gruppo europeo di interesse economico (G.E.I.E.), a dispetto del nome (“gruppo”) è una forma di aggregazione di carattere contrattuale voluta a livello comunitario e istituito con il del Regolamento Consiglio dei Ministri delle Comunità Europee del 25 luglio 1985, n° 2137 con lo scopo di consentire alle aziende dell’Unione di realizzare alleanze sotto una regolamentazione comune europea al fine di superare le differenze nazionali in materia.

Il G.E.I.E. è un contratto che può essere stipulato tra soggetti che svolgono un’attività economica e dà luogo ad un fenomeno associativo con rilevanza esterna. È tuttavia necessario che siano presenti almeno due soggetti appartenenti a Paesi diversi dell’Unione Europea.

Una particolarità risiede nel fatto che è possibile introdurre nel “gruppo” non solo imprese ma anche professionisti (ovvero esercenti arti o professioni).

Esso non ha scopo di lucro: i beni ed i servizi realizzati devono essere offerti ai membri del raggruppamento al loro costo. In questo modo i vantaggi economici del G.E.I.E. si realizzano direttamente nel patrimonio delle singole aziende partecipanti.

La relativa regolamentazione è, tuttavia, piuttosto farraginosa e non sempre chiara e prevede – questione “cruciale” – la responsabilità patrimoniale dei singoli membri, che rispondono illimitatamente e solidalmente di tutte le obbligazioni che non vengono soddisfatte da parte del “gruppo”, pur mantenendo la propria autonomia giuridica e patrimoniale.

Il G.E.I.E. non ha trovato particolare sviluppo, almeno nel nostro Paese.

TRUST

Il trust può essere considerato, in un certo senso, l’antesignano dei moderni gruppi aziendali. Esso, peraltro, trova le sue origini in tempi molto lontani – addirittura nel medioevo – anche se per secoli ha avuto tutt’altro significato.

Alla base del trust risiede la “fiducia” che alcune persone ripongono in un gruppo di “fiduciari”, detti trustees, ai quali affidano la gestione di beni o anche di aziende di loro proprietà.

Nella versione “moderna” del trust ai conferenti (o ad altre persone da esse designate) vengono assegnati, in cambio, dei titoli trasferibili i quali conferiscono il diritto di partecipare agli utili periodici e alla ripartizione delle attività alla scadenza del relativo contratto.

L’insieme delle aziende che entravano in tal modo a far parte del trust, pur continuando a mantenere la propria autonomia giuridica, venivano ad essere gestite in maniera unitaria per effetto della “direzione comune” a cui erano, di fatto, sottoposte.

Nello specifico, la forma più tipica di trust inteso come aggregazione aziendale di carattere patrimoniale assume la seguente configurazione. Diverse aziende operanti nel medesimo settore economico o in settori complementari cedono ad uno specifico organo centrale – il Board of Trustees – titoli sufficienti a garantire il controllo delle medesime ricevendo in cambio “certificati di trust”, ovvero titoli che conferiscono loro il diritto di partecipare agli utili in proporzione alle quote rappresentate dai certificati stessi ma non di partecipare alla gestione, che viene assunta, in via esclusiva, dal board of trustees. In questo modo le singole aziende, pur mantenendo formalmente la propria indipendenza giuridica, rinunciano al potere gestorio in cambio di migliori benefici economici che dovrebbero derivare dalla gestione unitaria dell’aggregazione.

HOLDING COMPANY

La holding company statunitense è la tipologia di aggregazione di tipo patrimoniale che ha dato origine al moderno “gruppo di imprese”. Se il trust deve infatti essere considerato l’antesignano del gruppo, la holding company, nata per sopperire al venir meno del trust, è quella che, per l’appunto, più somiglia all’attuale fenomeno del gruppo A dispetto del nome, infatti, che si riferisce alla capo gruppo piuttosto che all’aggregazione nel suo complesso, la holding company rappresenta, storicamente, il primo tentativo posto in essere in tal senso La sua nascita coincide sostanzialmente con la La sua nascita coincide, sostanzialmente, con la “morte ” del trust. Dal punto di vista formale il Dal punto di vista formale il punto di partenza è rappresentato da una legge del New Jersey del 1888, ed emendata nel 1893, la quale autorizzava le società per azioni ad acquisire azioni di altre società, attività prima di allora vietata. L’importanza di questa norma è notevole in quanto ha esteso a tutte le società per azioni, operanti in tutti i settori, una possibilità che fino ad allora era riconosciuta solo a società operanti in specifici settori (in particolare quello ferroviario) e in virtù di autorizzazioni concesse da leggi speciali L’esempio del New Jersey fu seguito velocemente da altri Stati dell’Unione e in breve tempo le holding companies si diffusero a macchia d’olio. Ben presto ci si

accorse che si potevano perseguire gli scopi dei trusts con le holding holding companies companies, le quali erano invece riconosciute dalla le quali erano invece riconosciute dalla legge (e quindi consentivano di aggirare i divieti imposti dallo Sherman Act) e ciò ne decretò il rapido successo.

KONZERN

Il konzern è un aggregato aziendale su base patrimoniale tipico della Germania e ha avuto un particolare sviluppo tra le due guerre mondiali, sostanzialmente per gli stessi motivi (incoraggiare e sostenere lo sviluppo industriale tedesco, nonché favorire l’espansione delle aziende sui mercati esteri) indicati con riferimento ai cartelli, anch’essi sviluppatisi nel medesimo Paese nello stesso periodo.

In un primo momento il konzern raggruppava aziende operanti nel medesimo settore produttivo, legate insieme da rapporti sia verticali che orizzontali, mentre in seguito ha esteso il proprio ambito anche ad aggregazioni di aziende con attività diversificate.

Nella sostanza, attualmente il konzern, al di là del nome particolare, rappresenta la “variante” tedesca del “gruppo aziendale”.

È interessante accennare al konzern in quanto, non solo per prassi, ma anche dal punto di vista giuridico (e in questo senso la Germania è stata un’antesignana), esso configura un gruppo che può instaurarsi non solo su base patrimoniale, ma su base mista patrimoniale-contrattuale, o addirittura esclusivamente su base contrattuale.

 

 

Scarica pdf

Richiedi informazioni

Compila il modulo sottostante per inviarci una richiesta di informazioni o per essere contattato.
Il Team Benedetti&Co ti risponderà il prima possibile.







    Dichiaro di avere letto l'informativa sulla privacy e acconsento al trattamento dei dati forniti.*