Lettera all'imprenditore n°175 del

9 Ottobre 2020

Invecchiamento demografico e propensione al rischio: legami con la crescita di un Paese

Se doveste avere un’entrata extra come decidereste di utilizzarla?

Una recente ricerca scientifica, sviluppata da Oval Money e Jeme Bocconi e riportata ne Il Sole 24 Ore (2018), ha confermato la bassa propensione all’investimento degli italiani e un’elevata propensione al risparmio. I risparmi vengono quindi generalmente mantenuti sul conto corrente, oppure investiti in strumenti a bassissimo rischio.

La risposta prevalente (44%) alla domanda sopra riportata, “nel caso di una cifra bassa (500 euro), è ‘mi levo qualche sfizio e il resto lo metto da parte’. Nel 34% dei casi la risposta è ‘li metto da parte per un acquisto futuro importante’; il 16% degli intervistati ha dichiarato di voler metterli da parte a scopo di investimento e il restante 6% ha dichiarato di volerli impiegare per fare shopping.

Le quote cambiano solo marginalmente in caso di cifra più importante (10.000 euro). Solo il 2% dichiara di volerli spendere tutti subito, il 39% vuole metterli da parte per un acquisto futuro; il 40% li mette da parte dopo essersi tolto qualche sfizio” (Oval Money e Jeme Bocconi, ne Il Sole 24 Ore).

Questo emerge anche dal grafico sotto riportato, che evidenzia come dopo la crisi i risparmi siano in costante crescita, mentre tarda la ripresa degli investimenti.

Fonte: Fondo Monetario Internazionale

La ricerca, inoltre, evidenzia che gli over 65 sono coloro che hanno maggiori risparmi accumulati e una più accentuata necessità di preservare il proprio capitale, assumendosi bassissimi rischi. La bassa propensione al rischio può essere quindi ricollegata al tendenziale invecchiamento della popolazione, evidenziato anche dal cosiddetto Old Dependency Ratio, ossia l’indice che misura il rapporto tra il numero di persone economicamente inattive (di età pari o superiore a 65 anni) e il numero di persone in età lavorativa (tra i 15 e i 64 anni).

Old dependency ratio: serie storica e previsioni per 6 Paesi europei.

Fonte: Eurostat

Il trend mostrato dal grafico evidenzia il graduale invecchiamento della popolazione europea ed in particolare di quella italiana. Oggi in Italia la popolazione over 65 è superiore di quasi 25 punti rispetto alla popolazione attiva. Se poi consideriamo che tra i 15 e i 25 anni molti giovani non lavorano ancora, questo gap aumenta ulteriormente.  Considerando infine che il tasso di fecondità italiano è da tempo inferiore alla parità e si riduce ogni anno, tale squilibrio è destinato ad aumentare sempre più.

Sulla base di questi dati, l’ISTAT ha sviluppato una proiezione dell’andamento della popolazione italiana che, come evidenziato dal grafico sotto riportato, dal 2015 è diminuita ogni anno di circa 120.000 persone, e questo calo è destinato inoltre ad aumentare, “al netto di eventuali invasioni barbariche”.

Proiezioni ISTAT sull’evoluzione della popolazione in Italia:

ricostruzione popolazione residente al 1° gennaio fino al 2017, poi proiezioni 2018.

Fonte: ISTAT

La crescita economica di un Paese si può pertanto ricollegare all’andamento demografico della sua popolazione?

L’aumento del PIL è da sempre preso come indice di riferimento della crescita economica e dell’aumento del benessere di un Paese.

Ma questo indice può essere ancora considerato valido se riferito ad una popolazione che invecchia e diminuisce?

Probabilmente no, in quanto chi governa un Paese ha come obiettivo quello di massimizzare il benessere del proprio popolo e, in un Paese dove popolazione invecchia e diminuisce, la crescita del benessere individuale può non coincidere con la crescita del benessere aggregato. Pertanto, l’attuale indice di sviluppo di un Paese, oggi rappresentato dal PIL aggregato, dovrebbe essere sostituito dal PIL pro-capite. In tal caso, l’obiettivo di chi governa un Paese non dovrebbe essere più la massimizzazione della produzione interna lorda aggregata, bensì di quella individuale.

L’andamento demografico è, anche se il più importante, solo uno dei fattori rilevanti per la crescita economica, in quanto si possono aggiungere altre variabili-chiave, quali ad esempio la cultura e l’istruzione, che permettono nel medio-lungo periodo lo switch tra attività a basso valore aggiunto con quelle a maggior valore aggiunto, l’attrattività come Paese per trattenere e attirare talenti e competenze di eccellenza, e le risorse naturali, oltre agli investimenti effettuati.

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