Lettera all'imprenditore n°15 del

15 Maggio 2017

Il vero scrigno di ogni impresa? Il magazzino.

Normalmente parleremmo dell’ottimizzazione della gestione logistica che, attraverso un elevato livello di servizio, contribuisce all’incremento dei ricavi; oggi invece vogliamo parlare proprio del magazzino, cioè di quello che c’è dentro, perché nel magazzino si nasconde un vero e proprio Tesoro che potrebbe rivelarsi utile per recuperare risorse finanziarie, cosa che,  particolarmente in tempi di crisi, risulta essere un’opzione interessante.

Ci riferiamo al problema dell’immobilizzazione di capitale in scorte “non produttive”, che non contribuiscono cioè alla crescita dei ricavi, appesantendo invece il capitale circolante e indirettamente gli oneri finanziari.

Più in particolare facciamo riferimento alle scorte dei prodotti di “bassa movimentazione” caratterizzati da un eccesso di scorta; gli slow moving, dalla terminologia inglese oggi generalmente impiegata per riferirsi al fenomeno, sono i prodotti con un basso indice di rotazione, cioè  con una quantità di scorta sproporzionata rispetto alle vendite attese.

Alcune aziende non solo cercano di misurare l’entità del problema, ma apportano le dovute correzioni riducendo il valore delle scorte dei prodotti in questione rispetto  al costo originario (stabilendo delle opportune regole di “svalutazione”), evidenziando in tal modo la perdita anche a livello di conto economico.

L’eccesso di immobilizzo nello slow moving è un problema che si presenta con una certa frequenza nelle PMI italiane ( e non solo nelle PMI): la buona notizia è che dal problema possono scaturire valide opportunità per le aziende che ritengano sia giunto il momento di affrontare la situazione:

  • È possibile ridurre una parte dello slow moving e recuperare risorse finanziarie dallo smobilizzo;
  • È possibile creare le condizioni per evitare che il fenomeno si ripeta in futuro evitando così di bruciare altre risorse. Se infatti non si interviene in maniera progettuale, lo slow moving è destinato ad aumentare progressivamente nel tempo;

Come possiamo raggiungere questi risultati? 

Il primo passo in qualsiasi processo di miglioramento aziendale è la misurazione, in quanto se non conosciamo in dettaglio la realtà che vogliamo migliorare non è possibile apportare alcun cambiamento. Quindi il primo passo consisterà nel misurare lo slow moving e valutarlo quindi nel suo profilo economico.

Normalmente incontriamo due categorie di slow moving.

La prima categoria è rappresentata dagli articoli che non hanno nessuna movimentazione. Si tratta dei nemici numero uno, di prodotti che occupano spazi sugli scaffali ma che non danno alcun contributo alla creazione di valore, pesando sul valore totale delle scorte e quindi sul capitale circolante.

Sono prodotti probabilmente datati che peggiorano ogni giorno la loro obsolescenza e sui quali occorre quindi agire con urgenza e determinazione.

La seconda categoria è rappresentata dai prodotti che hanno sì una movimentazione (comunque molto bassa), ma il cui quantitativo di scorta è fortemente  sproporzionato rispetto alle vendite attese. Queste scorte sono anch’esse pericolose, poiché, se non si interviene con rapidità, si corre il rischio di lasciarle passare alla prima  categoria peggiorando la loro situazione.

Un progetto di smaltimento degli eccessi di stock è normalmente vissuto come un progetto di “Logistica” proprio perché il problema nasce in magazzino (proprio sugli scaffali) e richiede di essere evidenziato e misurato;  ma un progetto che voglia davvero porre rimedio a questa problematica è invece un progetto AZIENDALE in quanto coinvolge appunto tutti i reparti aziendali: dalla direzione che deve comprendere il problema e la necessità di una svalutazione del valore degli stock in questione, al reparto vendite che si deve adoperare per “smaltire” i prodotti coinvolti magari sondando nuovi mercati (intesi come mercati diversi da quelli solitamente serviti), dal Marketing che deve valutare possibili azioni dedicate alla vendita straordinaria di alcuni articoli, alla produzione che deve valutare la possibilità di riutilizzare i prodotti o i relativi componenti per comporre altri prodotti più facilmente vendibili, e infine, nuovamente, la logistica, che dovrà dotarsi di sistemi e strumenti che limitino fortemente il ripresentarsi del problema.

Insomma un vero e proprio lavoro di squadra.

Diverse ricerche condotte negli anni passati, nonché le esperienze condivise dagli esperti del settore, hanno evidenziato come le aziende che non abbiano intrapreso azioni di attenzione ai problemi della logistica (dimensione delle scorte, gestione del ciclo di vita del prodotto, gestione delle obsolescenze e così via) si ritrovino mediamente magazzini in cui l’incidenza degli slow moving a rischio rappresentano una percentuale di circa il 30% sul valore totale delle scorte. Pur in considerazione della necessaria svalutazione dei valori di questo stock (normalmente tra il 40% e il 70% complessivo), potete farvi  un’idea delle risorse recuperabili dallo slow moving con un progetto di smaltimento dell’overstock di magazzino. Tenendo inoltre presente che una riduzione dello stock del 30% si riflette normalmente in una riduzione del capitale circolante operativo netto di circa il 20%, potrete calcolare il conseguente impatto sui flussi di cassa e sul conto economico.

In definitiva le ragioni per cui vale la pena di approfondire il tema sono molteplici, soprattutto in tempo di crisi quando di denaro in circolazione ne esiste poco, lo Slow Moving può rivelarsi un vero e proprio piccolo “tesoro nascosto” che potrà contribuire a migliorare le casse aziendali favorendo al contempo la soluzione di uno specifico problema.

Il ruolo della logistica nella cash generation

La capacità di generare cassa ricopre senza ombra di dubbio un ruolo chiave per il sostentamento e la crescita di ogni realtà aziendale: la generazione di cassa è infatti condizione essenziale per poter investire in nuove tecnologie, garantire un autofinanziamento svincolato da fonti esterne (quindi più costose) e, non da ultimo, poter essere positivamente valutati dai mercati azionari.

Uno dei principali elementi che incide sulla capacità di generare cash è l’immobilizzazione di risorse nel capitale circolante o “working capital”, simbolicamente raffigurabile come la “benzina” che permette al ciclo operativo aziendale acquisto -> produzione -> vendita di funzionare. Il circolante esprime, in altri termini, il fabbisogno finanziario necessario a garantire l’operatività aziendale (quanto l’azienda deve investire in magazzino ed in crediti concessi ai clienti), al netto della copertura spontanea del fabbisogno stesso (risorse ottenute dai fornitori tramite debiti verso gli stessi); utilizzando una ulteriore metafora molto chiara, il Working capital può anche essere rappresentato come una “spugna” che assorbe liquidità ma, se ben gestita tramite azioni mirate sulle sue tre principali componenti (debiti verso fornitori, crediti verso clienti e scorte di magazzino), la stessa “spugna” è in grado di liberare risorse liquide.

Come generare cassa

I progetti e le iniziative volte alla generazione di cassa ricoprono un ruolo chiave in ogni strategia di crescita andando ad agire su ognuna delle tre determinanti del working capital (come definite in figura 1) e nella implementazione di questi progetti/iniziative la logistica gioca un ruolo di primo piano in quanto detiene leve fondamentali per poter manovrare le tre determinanti del circolante. Si procederà di seguito ad analizzare ognuna delle tre possibili aree di azione, identificando le azioni volte alla creazione di cassa, formulando le metriche/indicatori utilizzabili per misurare se le azioni migliorative raggiungono risultati sperati e spiegando inoltre come in ognuna delle tre aree le difficoltà di implementazione delle azioni migliorative siano riconducibili ad un trade-off che la direzione logistica deve affrontare, valutare e risolvere.

Si consideri la prima componente del capitale circolante: i debiti verso fornitori. Il capitale circolante diminuirà, generando quindi cassa, qualora sia possibile ottenere dai fornitori maggiori dilazioni di pagamento; la logistica gioca quindi il suo ruolo in relazione alla contrattazione con i fornitori di servizi logistici (trasporto, magazzino, handling, outsourcing,…).

Si consideri ora il secondo elemento del capitale circolante, i crediti verso clienti: per poter ottenere benefici di cassa da questo secondo elemento, oltre alla intensificazione della attività di recupero credito, è necessario intraprendere azioni volte ad accorciare i termini di pagamento concessi ai clienti. La logistica sembrerebbe poco coinvolta in questo secondo elemento, in realtà non è così. Una prima possibile azione potrebbe essere la ricerca del miglioramento del servizio logistico offerto al cliente: inserendo questo fattore nella negoziazione commerciale, è possibile che il miglioramento qualitativo venga remunerato anche tramite una riduzione dei termini di pagamento; una seconda possibile azione potrebbe risiedere nella ricerca di integrazioni verticali con i clienti: garantendo, ad esempio, un minor lead time nelle consegne ad alcuni clienti, questi potrebbero viaggiare con minor scorte di sicurezza, raggiungendo quindi un beneficio di minor capitale circolante: questo beneficio potrebbe essere ricompensato tramite una spartizione dei benefici stessi tra fornitore e cliente, ad esempio proprio riducendo i termini di pagamento. Infine, ma non da ultimo, il ruolo della logistica distributiva può risultare strategico: qualora infatti i termini di pagamento concessi dai fornitori (le società di autotrasporto) siano all’azienda più favorevoli rispetto a quanto lo siano quelli che la stessa concede ai propri clienti, converrebbe spingere il più possibile verso contratti commerciali con consegne franco arrivo (il costo di trasporto incluso in un prezzo di vendita franco arrivo, entra in cassa prima di quanto l’azienda pagherà i fornitori di autotrasporto); in caso contrario avrebbe senso cercare di aumentare i volumi di accordi franco partenza. In questa seconda determinante del working capital, il trade-off è identificabile nella necessità di conciliare politiche volte alla riduzione dei DSO con politiche commerciali volte alla ricerca della massimizzazione dei volumi di vendita (l’incremento dei volumi potrebbe essere ricercato anche tramite la concessione di termini di pagamento più favorevoli ai clienti).

Si consideri infine il magazzino. Maggiori sono le scorte, maggiore sarà il circolante immobilizzato: ogni progetto volto quindi a ridurre il magazzino permette di “liberare” cash.

Le possibilità di generazione di cassa passano dalle azioni tipiche della logistica/supply chain volte alla riduzione delle scorte: just in time, logica Pull, implementazione delle tecniche Kanban, riduzione delle scorte di sicurezza (abbattimento della variabilità,…), … Ognuno degli esempi appena citati, se implementato correttamente, garantisce una riduzione delle scorte, generando quindi cassa. L’implementazione di azioni migliorative sulla componente “magazzino”, porta necessariamente ad affrontare il seguente trade-off: il garantire da un lato una certa sicurezza alla continuità operativa aziendale (minimizzare il rischio di rotture di stock), si scontra con la ricerca dell’abbassamento dei livelli di scorte. In altri termini, il conflitto di interessi contrappone chi é interessato alla funzione prudenziale del magazzino (le scorte sono il mezzo più idoneo a disposizione delle imprese per fronteggiare andamenti imprevedibili della domanda o dei tempi di approvvigionamento/produzione) a chi é incaricato della riduzione del circolante.

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